Ve li ricordate Marcus Dunstan e Patrick Melton? Certo che ve li ricordate, come si fa a non ricordarsi di Marcus Dunstan e Patrick Melton, quelli famosi per aver scritto la celebratissima (inserire ironia qui) trilogia di Feast (carino il primo, merda tutto il resto – cit.), altresì nota come “quella cosa che c’era pure Henry Rollins e dei nani messicani”, oltre che gli ultimi quattro capitoli di Saw (carini i primi, merda tutto il resto), altresì noti come “ah sì quelli noiosi tipo il terzo ma non sono uno sono quattro però muore quello dei Linkin Park”, e quell’assurdo, incomprensibile, fallimento che è Piranha 3DD (capolavoro il primo, merda proprio questo), altresì noto come “ma come cazzo avete fatto a sbagliare un film del genere teste di cazzo che non siete altro vi rubo la famiglia”. Come si fa a non ricordarsi di loro e di questi 8 film che avrebbero permesso ai due di finire al volo nelle liste nere di qualsiasi fan del cinema di paura con un minimo di giudizio non fosse stato che nel 2009 gli è esploso del senso d’autore e, dopo aver fatto bimbumbam per decidere chi sarebbe stato il regista, hanno deciso/gli è stato concesso di girarsi un film per i fatti loro e non solo di scriverlo. Quel film era The Collector, nato come prequel di Saw ma poi diventato progetto a sé stante, girato dal vincitore di bimbumbam Marcus Dunstan e che in poco tempo è tipo diventato il film preferito di molti poiché vera e propria bomba (non privo di difetti, ma decisamente bomba). Praticamente questi due riescono a fare cose buone solo quando le idee sono loro e possono gestirsele da soli. Rinfreschiamoci la memoria: cosa aveva lasciato aperto The Collector?
- Il finale in cui (spoiler) il protagonista ladro gentiluomo Arkin (Josh Stewart) veniva chiuso in un baule rosso dal collezionista
- Motivazioni e identità del killer
- Cosa combina alle vittime e dove le porta una volta rapite
- In cosa consista effettivamente la collezione
- Il gas
Quali di questi elementi The Collection riprende? Quasi tutti.
Altre cose da chiedersi sono: cos’aveva di buono The Collector? Il ritmo una volta ingranato, il torture porn, un killer genio maniaco dei meccanismi, un finale aperto, elementi inesplorati; cos’aveva di male The Collector? I primi 30 minuti di introduzione personaggio in cui nulla accadeva, un’incertezza da opera prima spesso evidente, errori d’inesperienza qua e là; facendo un paragone quindi dove si colloca The Collection nella scala dell’aver imparato la lezione? Più o meno al livello GENIO HAI CAPITO TUTTO.
La storia riprende subito dopo gli avvenimenti del primo: dopo una breve introduzione in flashback di Elena (Emma Fitzpatrick – da una settimana la donna della mia vita) e dei titoli di testa con telegiornali che ci ricordano quanto cattivo sia stato il collezionista ad aver rapito quel criminale di Arkin ritroviamo Elena ormai cresciuta in una discreta figa dai capelli corti che non urlano LESBO perché il mondo moderno ha finalmente accettato che anche chi è etero può avere dei capelli corti. Qualche breve menata e l’azione passa in una discoteca in cui un sacco di regaz fanno le cose che si fanno in discoteca, tra cui tradire i propri partner: per questo Elena si prende male e inizia a girare il locale, entra in una stanza dove trova un baule rosso, quel baule rosso, da cui esce un Arkin completamente ricoperto di sangue che urla frasi a caso tipo CAZZO LIMONE RUOTA DAVID FINCHER. Nel frattempo scatta una trappola del collezionista e il film inizia: un meccanismo gigante e rotante dotato di lame, che mi piace chiamare “trebbia”, si attiva sulla pista da ballo e, appunto, TREBBIA TUTTI. Sangue ovunque, gente che esplode, bodycount che supera la centinaia, TUTTI IN PIEDI APPLAUSI E FISCHI. C’è chi fugge e chi era in bagno ma non preoccupatevi, il collezionista ha pensato anche questo mettendo una gabbia giusto prima dell’uscita: una volta chiusa questa inizia a stringersi schiacciando tutti i presenti in un delirio di ossa rotta e urla; Arkin intanto si lancia dalla finestra e Elena viene rapita dal killer, sono passati solo dieci minuti e io sto già urlando al capolavoro.
Dopo una partenza del genere tutto si calma e al minuto venti circa l’azione inizia ad alternarsi tra Elena intrappolata e Arkin e poliziotti che entrano nel covo pieno di trappole del killer, il Motel Argento (*occhiolino*), per recuperarla, essendo lei figlia di tizio importante, dando inizio alla caccia e all’essere cacciati (Arkin torna ad affrontarlo con una scusa un po’ forzata a la The Descent Part 2 – “tu l’hai già incontrato sai come fregarlo” – ma se non altro è costretto e non volontario). Il resto è un domino di violenza e suspance che non si ferma più e, quasi incredibilmente, riesce a tenere testa a quell’intro così fuori di testa che per la troppa aspettativa aveva alzato di parecchio il rischio delusione (perché è facile iniziare a mille, ma poi a mille bisogna restarci).
A fare di The Collection un film clamoroso non è tanto la quantità dei pregi quanto la loro qualità; quasi tutti ne escono come un’evoluzione dei già pochi difetti di The Collector che, essendo molto tecnici, erano facilmente ovviabili data una seconda possibilità. Abbiamo, quindi:
- La durata: 82 minuti compresi di titoli di coda e 72 minuti effettivi di film, 10 dei quali di presentazioni e background e per il resto tutta azione. Quando dicevo che appena parte non si ferma più è anche per questo: non ne ha proprio il tempo. Va dritto al punto, prendendo la direzione giusta, e non si concede spazio per alcuna menata. Certo, la protagonista, Elena, ha meno attenzione nella presentazione di quanta ne aveva Arkin nel primo, ma non per questo è meno afficace, anzi, in poche ma intelligenti mosse narrative Dunstan e Melton ci dicono tutto quello che ci devono dire senza perdersi in dettagli inutili, cosa perfetta per un film del genere.
- Il ritmo: frenetico fino all’ultimo minuto e pure sui titoli di coda, la diretta conseguenza dell’incontro tra una breve durata e la scelta di dividere per la maggior parte l’azione tra Elena intrappolata e Arkin con poliziotti alla sua ricerca. Quando finisce la sequenza di uno inizia subito quella dell’altro, permettendo un montaggio agile e nessun rischio che una delle due parti possa stagnare o risultare ripetitiva. Ogni nuova scena presenta almeno una trappola o un attacco del collezionista, e quindi un probabile morto, senza soluzione di continuità. Tutto funziona, la visione di Dunstan è precisa e decisa, ed io ero più sorpreso che mai.
- La violenza: tanta, bella, a tratti fantasiosa e con un paio di scene da pelle d’oca per il dolore supposto. In giro per la rete l’ho spesso vista definita come “gratuita”, ma è possibile definire gratuita la violenza di un film nato esclusivamente per mostrarla? No, io dico che la parola giusta sia “necessaria”, e quando la violenza è necessaria è bene mostrarla in tutta la sua fisicità.
- I nuovi elementi: molte delle cose introdotte in The Collector vengono svelate e sviluppate, per la gioa di chiunque si fosse chiesto “sì ma collector DI CHE!” (no non ve lo dico), ma solo per inserirne di nuove. Viene ad esempio introdotto il concetto che il collezionista testi le persone rapite prima di farle entrare nella sua collezione (no, non ve l’ho appena detto, il punto sta tutto in come ci finiscono) ed è forse un po’ simile all’idea dei test di Saw ma non possiamo saperlo visto che tutto finisce lì in attesa di essere sviluppato, spero, in un nuovo sequel (20 euro che si chiamerà The Collected – sempre se lo faranno).
Capisco se, alla luce di quest’ultimo punto, qualcuno di voi possa aver storto il naso: non vi biasimo, ha senso pensare che delle idee non sviluppate siano semplicemente sintomo di una scrittura pigra ed evidente manifestazione cutanea del morbo di Lindelof, ma vista la continuità e la coerenza con cui Melton e Dunstan hanno scritto questo sequel credo sia corretto dare loro una fiducia del tutto, e finalmente, meritata.
DVD-quote:
“Divertente, sanguinolento e con ossa spezzate come fossero cosa dovuta: tutto quello di cui avete bisogno.”
Jean-Claude Van Gogh, i400calci.com